Il caso di Angelina Jolie
Intervista di Donna per Donna Onlus al senologo Bresciano Luciano Cirelli
La scorsa settimana, con l’associazione ‘Donna per Donna’, è intervenuto a TempoRadio il dottor Luciano Cirelli, specialista senologo oncologo. Si è commentato il caso di Angelina Jolie, la celebre attrice che ha proceduto ad una mastectomia perché, dopo la morte della madre per cancro all’ovaio, ha scoperto di avere mutati i geni Brca1 e Brca2, eventualità che rende probabile l’ammalarsi di tumore alla mammella. “E’ stata effettuata una cosiddetta mastectomia sottocutanea, in cui si svuota la mammella, non la si toglie – ha spiegato Cirelli -. Rimangono areola e capezzolo, asportando la parte ghiandolare che può ammalare, sostituendola con una protesi. In America si fa, in Italia è un metodo meno praticato. Vorrei precisare che la familiarità predispone, ma non in maniera così eccessiva. Diverso è se si ha il gene mutato, anche se la certezza di ammalare non c’è nemmeno in tale caso. Se un test genetico risulta positivo, si può procedere in due modi: tanti, tra cui Veronesi, sostengono che la mastectomia sottocutanea non sia la scelta migliore, ma propongono di sottoporre le donne positive a dei controlli più frequenti ed approfonditi, giungendo a diagnosi precoci che portano a guarigione nel 90-95% dei casi; alcuni propendono per la procedura più drastica, quella impiegata da Jolie”. “Voglio ricordare che, però, su 100 donne operate di tumore alla mammella, il gene alterato si trova solo nel 10% dei casi – ha sottolineato il dottor Cirelli -. Ed è bassa anche la familiarità. Tuttavia adesso c’è un boom di richieste per i test genetici. Io ritengo serva una valutazione preliminare, ossia la donna deve avere un’alta familiarità. Attenzione, inoltre, a sottoporsi alla mastectomia sottocutanea, perché, una volta svuotato, il seno riempito solo di protesi non ha più alcuna sensibilità, come avere due mattoni…”.
“Ha detto bene: è la prevenzione l’unica vera chiave per sconfiggere il tumore al seno. La prevenzione è la ricerca della malattia prima che questa si manifesti.È la diagnosi precoce del tumore, quando è ancora agli stadi iniziali e la donna è in pieno benessere. Quando la lesione non supera i 3-4 millimetri di grandezza e la possibilità di guarigione è elevatissima, quasi del 90%.
Sono i tumori che noi senologi chiamiamo “di intervallo”, quelli che si manifestano fra un controllo e l’altro. Ma ciò significa che queste donne devono aver fatto gli accertamenti corretti. Ripeto, tutte le donne, non solo le cinquantenni”.
Il dottor Cirelli lo sa bene: i tumori nella fascia di età fra i 28 e i 40 anni sono in vistoso aumento e rappresentano ormai il 30% delle diagnosi.È un errore quindi pensare di rinviare mammografie, visite ed ecografie a quando si arriva alla soglia della menopausa.Come è un errore sospendere i controlli dopo i 70.
“Due grandi errori direi. Dai 28 ai 38-40 anni le giovani donne devono fare un’ecografia e una visita senologica ogni 18-24 mesi. Anche l’eco va fatta perché la visita con la sola palpazione non è sufficiente.È dimostrato che la possibiliotà di non riuscire a diagnosticare un tumore fino a 1 centimetro con le sole mani è pari al 60-70%”.
Di fronte a queste parole viene spontanea una domanda: ma allora a cosa serve lo screening, che inizia a 50 anni e finisce a 69?
“Serve, certo che serve. Senza questa metodologia chissà quante donne non verrebbero a conoscenza della malattia. Ma è anche vero che lo screening del tumore al seno è una brutta bestia e non è una botte di ferro. Oggi viene fatta solo dai 50 ai 70 anni.
Ma ciò non significa che le donne più giovani e quelle più anziane non siano a rischio e quindi non debbano farsi controllare. Quest’anno ho visto una ventina di casi di tumore alla mammella in ragazze sotto i 35 anni. E qualche giorno fa ho visitato una signora di 80 anni devastata dal male. Purtroppo questa malattia non guarda l’età.
Quindi, vi prego, signore e ragazze, non dimenticate mai la prevenzione. E non abbiate paura. Il tumore, preso in tempo, può essere sconfitto”.